Sono cresciuta in una famiglia di emigrati pugliesi. Emigrati strani, ho sempre pensato. Emigrati che non tornano mai a sud e che mai hanno fatto sentire troppo di essere meridionale. Eppure la loro storia era quella dell’emigrazione classica, con la partenza verso il nord industriale e l’abbandono della campagna.
Il film muove da un punto di vista in prima persona. Figlia della generazione emigrata negli anni del boom economico, volevo esplorare, il paese di origine della mia famiglia. Quasi mai visitato direttamente, il paese è rimasto per me come un mito originario, costruito su innumerevoli racconti portati avanti dai numerosi parenti e dai conoscenti della famiglia, tutti trasferiti al nord e tutti provenienti dallo stesso territorio.
L’unico contatto diretto con il paese sono state le lettere che per anni ho ricevuto da Adele, una bambina conosciuta durante il viaggio a sud fatto da piccola. Le sue lettere hanno continuato ad arrivare per anni, senza quasi mai ricevere risposte, ma sono rimaste l’unico contatto diretto con il paese.
Da tutti questi frammenti, in parte basati su storie vere, in parte immaginari, parte il racconto solo parzialmente biografico: i racconti del mito del paese lontano e dei suoi abitanti, dell’infanzia dei miei genitori (forse di tutta l’Italia, nata agricola e diventata “adulta” nel momento in cui ha cambiato pelle per essere industriale negli anni ’60) si confrontano con il racconto della vita reale di una piccola comunità che vive ed esiste in un presente niente affatto proiettato verso il passato.